Tante volte l'economia è più semplice di quanto pensiamo o ci fanno credere.
Prima di tutto è un rapporto tra costi e ricavi, e questi sono ovviamente legati a "chi paghi" gli uni e a "chi paga" gli altri.
Nello sport professionistico a questi livelli esiste l'ipocrisia di parlare di bilanci quando in realtà l'impostazione delle società non è rivolta alla sostenibilità economica (ricavi superiori ai costi) basandosi ovviamente in prevalenza su diritti TV, spettatori e sponsor.
In rari casi di grandi bacini qualcuno ci riesce; in molti casi invece si punta a "risciacquare" soldi, nei migliori alla leva della visibilità politica/territoriale (es. Avellino o Siena), o al personalismo (narcisistico o idealistico) di qualche beneffattore. Comunque sia, si sa che si perde e poi si versa capitale per riappianare.
In un mercato normale i casi sono due: o chi poi ripiana lo fa perché ha un ritorno economico (sponsor) ma allora perché non farlo prima come voce ricavi, o lo fa per altri motivi che non possono apparire. Comunque sia non è un modello ortodosso ma patologico. Per questo la regola sul limite agli anni in perdita.
Poi i costi: se permetti a tanti di spendere senza una relazione con i ricavi (vedi sopra), inflazioni il mercato dei giocatori. Se invece limiti le sparate del folle di turno tutti siamo ad armi pari. Se Caserta o Torino sparano salari folli tu devi seguire il trend: ma a metà campionato loro falliscono e tu hai speso troppo e erodi il tuo capitale per il futuro. Alla fine si rimette tutti e il sistema si indebolisce.
Poi ci sono gli aspetti finanziari (anche essere quotati o vari modelli di associazionismo) e fiscali, ma la parte economica è il cuore.
Se le regole del mercato non sono rispettate non c'è speranza.
E non si parli di spettacolo quando questo sia doppato, perché poi dopo una o due stagioni di belgodi, si finisce negli inferi a vivere di ricordi piangendosi addosso.