Geppo Inviato 30 Aprile 2014 Segnala Condividi Inviato 30 Aprile 2014 Domani sono vent'anni dall'incidente di Ayrton Senna. Non so se un evento può segnare un confine netto tra un'era ed un'altra, in qualsiasi ambito della vita umana, certo è che, quell'incidente, è stato un momento simbolico. La morte in diretta del più bravo, del più carismatico, del più affascinante dei protagonisti. Accomunato nel destino e dal destino col più sconosciuto dei piloti dell'epoca, Roland Ratzenberger. La F1 da quel momento in poi è stata definitivamente orientata alla sicurezza. E' cambiato il modo di percepire la morte da parte del pubblico: la stessa morte di Ratzenberger era quasi stata considerata una normale evenienza per uno sport motoristico. Finiva così l'era dei cavalieri del rischio, della morte sempre vicina, elementi che, inutile negarlo, hanno favorito la popolarità di questo sport. Ancor'oggi l'adrenalina della partenza, del sorpasso, della guida nelle nuvole d'acqua, è dovuta alla possibilità, più remota, che il pilota possa subire un incidente. Ed è per questo forse che piloti con la personalità di Senna non sono più nati; semplicemente l'attuale F1 non prevede più questo gioco, così pericoloso, con la morte. In un certo senso Senna, con la sua morte, ha sancito per sempre la sua unicità. Schumacher, Alonso, Vettel, Hamilton, Raikkonen e tanti altri grandi piloti che sono venuti dopo Senna, non hanno espresso la loro personalità: colpa degli sponsor, delle linee di comportamento sempre più stringenti, forse solo colpa dei tempi che cambiano. Dicono che la F1 abbia perso la sua umanità. Ma cosa c'era di umano nella morte di un ragazzo dovuta al distacco di un alettone o di un piantone che era male fissato? O nella morte di Pryce o Williamson? che c'era stato di umano? Cita Link al commento Condividi su altri siti Altre opzioni di condivisione...
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