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I suntini sandrini di martedì 19 maggio 2020


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MARTEDI' 19 MAGGIO 2020

- È stato il capitano della squadra che ha riportato Trieste nel giro del grande basket. Una promozione in serie A2 che è stata il punto di partenza della successiva cavalcata verso la massima serie e che ha legato a doppio filo il giocatore nativo di Reggio Emilia alla tifoseria biancorossa Non è un caso che, ricordando i miti che hanno scritto la storia della pallacanestro cittadina, Marco Carra (intervistato oggi da Lorenzo Gatto per "Il Piccolo") sia stato ricordato dalla curva assieme a grandi campioni come Laurel, Tonut, Bodiroga, Fucka e De Pol. Un messaggio d'amore che ha profondamente toccato il cuore di Marco. Arrivato quasi per caso, Carra ha messo qui le sue radici. A Trieste ha trovato lavoro e sistemato la sua famiglia.

IL TRIO DI OMEGNA«Due stagioni difficili a Omegna, la prima segnata da un'operazione al ginocchio, la seconda personalmente positiva ma nella quale falliamo a livello di squadra. Sento che è arrivato il momento di cambiare, Dario Bocchini mi contatta e il gioco è fatto: accetto la proposta di Trieste con l'idea di farmi ancora qualche buon campionato di B1. La squadra ha un'età media piuttosto bassa, con me ci sono Zaccariello, Ferraro, Moruzzi e Gandini. Per il resto un manipolo di giovani, Ruzzier, Maganza e Mastrangelo su tutti, che saranno capaci, a turno, di fare la differenza. Saremmo stati contenti di fare i play-off, siamo andati molto oltre centrando la promozione. Devo dirlo: mai mi sarei aspettato di tornare a giocare in serie A. Una grande soddisfazione resa ancora più grande da ricordo del palazzo pieno nella gara decisiva contro Chieti. Eravamo partiti a Bari, mesi prima, con tre tifosi al seguito».

LA SERIE A«Primo anno in A2, stagione 2012/13, costruiamo una buonissima squadra. Jobey Thomas e Brandon Brown stranieri, Ariel Filloy a portare la sua esperienza per un gruppo che sulla carta può puntare ai play-off. Partiamo bene ma personalmente faccio fatica. Spazzo via dubbi e malinconia con una buona partita a Capo d'Orlando in cui, con Ruzzier fuori per infortunio, gioco tanto e capisco che posso portare il mio mattoncino ai successi della squadra. A fine gennaio la rinuncia agli stranieri cambia le prospettive della squadra ma non l'affetto dei tifosi nei nostri confronti in un finale di campionato in cui, soprattutto in casa, ci togliamo soddisfazioni importanti».

LA MANO DI DIO«Il campionato 2013/2014 è senza dubbio il più difficile. Stagione votata alla sofferenza nella quale ci giochiamo tutto alla penultima giornata in casa contro Forlì. Cedro Galli ci mette con le spalle al muro, vediamo le streghe ma nei minuti finali Ruzzier viene armato da Dio, segna tutto quello che gli passa per le mani e ci porta alla salvezza. Ho sempre pensato che quello è stato un momento spartiacque della storia di Trieste. Senza quella vittoria tutto quello che è successo dopo probabilmente non ci sarebbe stato».

ULTIMA STAGIONE«Arrivano Grayson e Holloway, due stranieri da scoprire. Prima amichevole contro Venezia, Holloway fatica mentre Grayson ne mette 25 umiliando i fenomeni della Reyer. Rientro negli spogliatoi pensando che almeno uno straniero l'avevamo scelto bene. Con il passare dei mesi quello buono si rivelerà l'altro. Con Holloway su altissimi livelli e grazie all'esplosione di Tonut ci giochiamo la chance di arrivare ai play-off. Tutto fila liscio fino alla trasferta di Brescia dove Holloway, infortunatosi alla mano in settimana, nel finale di partita si rifiuta di entrare. Gesto gravissimo nei nostri confronti, Dalmasson lo mette fuori squadra. Senza Murphy le nostre speranze di accedere alla post season svaniscono e per me, che avevo ormai deciso di chiudere al termine di quella stagione, fu una sorta di pugnalata allo stomaco. Ci tenevo troppo e ci ho messo molto del mio per ricucire i rapporti. Ho alzato il telefono per mediare con Ghiacci poi ho convinto Holloway a chiedere scusa. È rientrato e anche grazie a lui abbiamo centrato l'obiettivo. Quei play-off, aldilà del rammarico per una serie con Brescia che poteva finire in modo diverso, restano un ricordo dolce. Ho chiuso la carriera con una partita da 24 punti e tutto il palazzo in piedi, tifosi triestini e bresciani, ad applaudirmi».

IL RITIRO«Mi hanno chiesto se finire con una partita come quella giocata al palaSanFilippo abbia lasciato qualche rimpianto. Devo dire di no. Era arrivato il momento di lasciare perchè da un punto di vista fisico cominciava a pesarmi la gestione della settimana, inoltre studiavo per l'esame di stato e Samuel era già nato. Tutto il peso gravava sulle spalle di mia moglie, era giusto fare un passo indietro e pensare alla famiglia. Col senno di poi posso dire che va bene così. Ho avuto la possibilità, nei due anni successivi, di vivere una splendida esperienza con il Breg. Ho vinto un campionato e creato amicizie che durano ancora oggi».

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