SandroWeb Posted May 16, 2023 Report Share Posted May 16, 2023 MARTEDÌ 16 MAGGIO 2023 - Non lavora da quasi un anno nel mondo del calcio. E non ha voglia di rientrarvi. Men che meno di tornare a Trieste. Come scrive oggi Ciro Esposito su "Il Piccolo", la vita di Mauro Milanese da parecchi mesi e si svolge prevalentemente a Milano ma segue le vicende della Triestina da tifoso ed ex alabardato in campo e dietro la scrivania. «È la squadra della mia città e sono davvero contento che abbia mantenuto la categoria anche se a fatica. Dopo oltre cinquant'anni vissuti nel calcio, prima da calciatore e poi da dirigente, ho deciso di staccare. Ne avevo bisogno e non avrei la testa nè la voglia per rituffarmi nel mondo che mi ha dato tutto». Un anno fa la scomparsa improvvisa del cugino e presidente Mario Biasin poi la corsa contro il tempo per cercare di evitare il fallimento dell'Unione e la vendita in extremis a Simone Giacomini e soci. «Quando mi telefonarono dall'Australia il colpo fu durissimo. In questo anno sono affiorati spesso tanti ricordi. Quelli famigliari di quando da ragazzo le nostre due famiglie si incontravano. Quando si andava a Melbourne e quando Mario, Glenda, i figli venivano in Italia. Lui ha sempre tenuto ben saldo il legame con la città d'origine che amava. Come amava tutte le cose che faceva: la famiglia, la sua azienda, i suoi dipendenti, la Triestina. Questo è il valore più profondo che Mario mi ha trasmesso assieme alla sua straordinaria capacità di affrontare ogni problema con calma, razionalità e sempre con il sorriso». Già, quel sorriso empatico che ha contagiato tutti. «Voi vi siete dimenticati di noi emigrati ma non noi di voi, diceva sempre Biasin - continua Milanese -. In Australia era arrivato povero ed è stato capace di fondare un impero ma il suo cuore non si era mai allontanato da Trieste. Nonostante l'incedere dell'età non mancavano mai un paio di visite all'anno: gli piaceva il cibo triestino, le canzoni, rivedere le zone della città frequentate da bambino e che ha voluto far vedere alla moglie Glenda, ai figli e ai nipoti. Aveva sposato subito l'idea di fare qualcosa assieme a me per ridare dignità alla Triestina. E non ha mai fatto mancare il suo apporto, non solo quello economico molto cospicuo, pur essendo a distanza e non potendo quindi vivere il piacere di vedere la squadra, di chiacchierare con i tifosi. Il Covid ha complicato il tutto ma anche durante la pandemia Mario ci ha sempre dato coraggio anche grazie alla sua ironia che diventava travolgente quando potevamo vivere dei momenti non formali. Quando abbiamo chiuso la sede e dovuto fermare dipendenti e collaboratori mi ha sempre detto di continuare a pagarli. Perché lui voleva che le persone e le loro famiglie stessero bene». La salvezza della Triestina in fondo significa anche aver salvaguardato il lavoro fatto negli anni precedenti. «Infatti sarebbe stato tristissimo veder finire l'Unione tra i dilettanti. La squadra nelle partite finali è stata anche fortunata. Mi vien da pensare che come dopo la morte di Maradona l'Argentina e il Napoli sono riusciti a vincere, la Triestina dopo la scomparsa prima di Billy Marcuzzi e poi di Mario abbia trovato il modo di salvarsi. Forse anche loro hanno dato una mano». Da tifoso, ma anche da uomo di calcio, c'è un motivo per il quale nonostante gli investimenti notevoli l'Unione ha fatto tanta fatica? «A giugno quando serviva colmare la carenza finanziaria di 1,2 milioni (300 mila erano i crediti) oltre alla fideiussione da 350 mila che io ho garantito personalmente, mi sono arrivate due offerte. I proprietari della Stardust sono stati i più bravi e i più veloci e sapevo che erano solidi finanziariamente. La società lasciata a loro era pulita, grazie al mio lavoro avevamo rinnovato lo stadio, portato a Trieste grandi club come Juve, Roma e Milan, i tifosi dopo la pandemia erano tornati al Rocco. Insomma ero sicuro che i nuovi proprietari avevano le condizioni per fare bene. Invece non è andata così. Hanno cambiato tutta la rosa, cosa mai vista nel calcio. E poi la squadra era reduce da un ottimo play-off con il Palermo. Un nucleo insomma già c'era. La nuova squadra costruita d'estate a mio avviso mancava di fisicità in alcuni ruoli. Poi mi è sembrato che non sia stato coltivato a sufficienza il rapporto con il territorio, con i tifosi. Questa città ama la Triestina: la trasparenza e un atteggiamento aperto a Trieste paga sempre. Mi spiace poi che la nuova proprietà abbia rinunciato al progetto del Ferrini-Biasin». Milanese ha qualche rammarico? «Due partite di play-off con Pisa e Potenza che meritavamo di vincere. La Var l'hanno messa solo quest'anno dalle semifinali play-off di C. Evidentemente non era destino...» - Partita male e conclusa peggio, con una retrocessione che cancella un percorso di crescita cominciato cinque anni fa con il ritorno nella massima serie, la stagione di Trieste si può leggere anche attraverso i numeri. Un campionato che ha messo a nudo i limiti di una squadra dove le individualità non sono riuscite a sopperire i problemi di una squadra che nel girone di ritorno ha pagato le evoluzioni di un roster arrivato in fondo senza energie.Non è bastata alla formazione di Marco Legovich l'apporto del miglior fromboliere del torneo: Frank Bartley chiude la stagione da capocannoniere, i suoi 19,5 punti di media a partita lo pongono davanti a David Logan (18,4) e Colbey Ross (17,5). Giocatore che ha speso più minuti sul parquet (una media di oltre 32 a partita), Bartley è stato il secondo tiratore da tre punti della squadra con il 38,3%, dietro al solo Lever (46,7%) e davanti a Davis, Bossi e Campogrande. La guardia americana, archiviata in fretta la parentesi triestina, andrà a monetizzare altrove (forse all'estero) i numeri di una stagione che lo hanno eletto tra le sorprese del torneo.L'altro giocatore che ha chiuso tra i top del campionato è stato Skylar Spencer, secondo tra i rimbalzisti dietro a Trevor Thompson con 7,9 palloni catturati a partita. Il centro Usa, tra i migliori nel periodo a cavallo tra la fine del girone d'andata e l'inizio del girone di ritorno, ha pagato poi il problema fisico che lo ha condizionato ed è stato uno dei grandi assenti del finale di stagione biancorosso. Tra gli italiani l'apporto maggiore lo hanno dato certamente Ruzzier e Lever. Michele, arrivato in corsa dopo l'esperienza bolognese, ha avuto un ottimo impatto contribuendo alla crescita del gruppo in un mese di gennaio che aveva illuso l'ambiente portando la squadra fuori dalle secche del fondo classifica e a ridosso della zona play-off. L'infortunio al naso nel finale di stagione lo ha condizionato ma ha chiuso comunque con 7 punti e quasi 4 assist di media. Altalenanti i numeri di Lever che ha alternato prestazioni di sostanza a partite anonime. Come si possa passare nel giro di una settimana dal non entrato del decisivo match perso in casa contro Varese alla prova monstre di Pesaro (26 punti e 23 di valutazione in 34 minuti) resterà uno dei misteri irrisolti di questa stagione Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
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