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LUNEDI' 7 OTTOBRE 2019

- Non ci può essere soddisfazione in casa Pallacanestro Trieste dopo il rovescio di ieri a Milano. Dalmasson taglia corto a fine partita: «Si è trattato di una settimana particolare ma sono il primo a non cercare alibi. In ogni caso molto meglio giocare piuttosto che essere costretti a restare fermi per il rinvio dell'incontro».Alla vigilia aveva chiesto alla squadra una reazione dopo la debacle contro Varese. «L'invito era di mettersi in gioco di fronte a una formazione di campioni. Un test importante non solo dal punto di vista tecnico ma anche fisico e nella capacità di produrre intensità. Se abbiamo recepito qualcosa sicuramente lo porteremo a Trieste e ci servirà per crescere».Per almeno 30 minuti gli esterni sono stati comprimari, tentando poche conclusioni. «Abbiamo costruito poco, nessuno attaccava il canestro e la circolazione della palla era sterile di fronte a una difesa fisica come quella dell'Armani. Abbiamo letto male quelle situazioni», conclude Dalmasson.Ettore Messina è moderatamente soddisfatto per il successo della sua Armani. «Abbiamo alternato buone cose a qualche momento di difficoltà. Anche stavolta abbiamo tirato male da tre punti ma siamo riusciti a costruire comunque buone azioni e i 28 assist di squadra (7 ciascuno Scola e Rodriguez) sono tanta roba». Messina elogia Burns («ha sfruttato le caratteristiche dei lunghi di Trieste»), spiega perchè bacchetta Moraschini («ogni tanto commette alcuni errori che in Eurolega non potrà permettersi e io voglio che maturi come giocatore») e fa l'aggiornamento sulla condizione degli in fortunati.Tra il pubblico del Palalido anche Gianfranco Pieri, il "Professore" che da Trieste fece grande l'Olimpia. Vive a Milano, se può farlo parla volentieri in dialetto triestino. «Si vede che è una squadra nuova, con giocatori che devono ancora inserirsi. Credo però che sia competitiva per l'obiettivo stagionale della salvezza».

- Un primo tempo buttato via per la troppa lentezza nel giro palla, una ripresa migliore nella quale però è mancata la qualità necessaria per la giocata vincente. Al di là degli episodi negativi, Nicola Princivalli non si nasconde dietro alibi o scuse, e ammette che in settimana aveva preparato una partita diversa da quella che la Triestina ha messo in mostra nella prima frazione: «Purtroppo nel primo tempo siamo stati troppo lenti nel far girare la palla. E non so il perché, perchè noi avevamo preparato il match pensando già che il Ravenna sarebbe venuto a fare questo tipo di partita: per questo avevamo lavorato proprio sulla velocità della trasmissione della palla, perché solo così potevamo bucare una linea e creare scompensi contro un tipo di difesa che vedeva cinque giocatori in area e altri tre subito fuori. È chiaro che contro questo presidio, se la palla gira lenta come nel primo tempo, fai fatica. Ed è stato un primo tempo buttato. Ripeto, non capisco il motivo di questa lentezza, perché si era lavorato su altro». Poi la Triestina nel secondo tempo ha accelerato i ritmi, sono arrivati una traversa e un palo, anche due episodi molto dubbi sui quali la Triestina ha reclamato il rigore, ma è sempre mancato qualcosa per far breccia nella difesa ospite. «Nella ripresa è andata un po' meglio - dice Princivalli - però quando butti via 45 minuti subentra anche la foga di trovare il gol: e non è la foga agonistica, ma quella creata dal poco tempo che non è positiva e crea problematiche, e poi ti porta anche fuori giri. E comunque bisognava avere più qualità sui cross, perché se arrivi tante volte sulla trequarti e poi la metti male, non serve. Quando l'abbiamo messa bene abbiamo creato situazioni pericolose, come ad esempio l'azione del palo di Mensah. Chiaro poi che alla fine paghi caro anche le disattenzioni, che ci siamo creati da soli. Perdere questa partita sembra assurdo per quanto fatto sul campo, ma è così». Per quanto riguarda la questione panchina e questo strano ruolo di traghettatore, Princivalli assicura di non avere nessuna ansia. «Io sono tranquillo, domani vado ad allenare la squadra per dare il massimo, come se dovessi rimanere qua per i prossimi 10 anni. Da professionista di questo mestiere, anche se l'ho iniziato da poco, so che bisogna viverlo cosi: non si può pensare se perdo vado via o se vinco rimango. Non mi interessa, io darò tutto ogni giorno e da domani si riparte a testa alta. Poi la società avrà tempo o voglia di prendere decisioni, continuare o cambiare. Io da questo punto di vista ho una serenità totale»

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