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SABATO 8 GIUGNO 2024

- Si potesse mettere un parquet sul tartassato prato del Rocco lunedì sera lo stadio si riempirebbe facilmente. La capienza del PalaTrieste infatti non basta più. C'è il sold out annunciato ma i telefoni dalle parti di via Flavia continuano a squillare nella speranza di trovare biglietti. Insomma, con buona pace di Max Pezzali, in questi giorni a Trieste il "Sei un mito" ha altri destinatari.

Come scrive Roberto Degrassi oggi su "Il Piccolo", due mesi fa c'era una squadra dal roster notevole che raccoglieva sconfitte con avversari di basso legnaggio nella fase a orologio. Adesso c'è una squadra - la stessa - che nei play-off miete vittime illustri e lunedì sera potrebbe completare un clamoroso en-plein. Non è un'esagerazione: se Trieste lunedì davanti al proprio pubblico vincerà gara3 avrà realizzato la più incredibile performance di una versione della Pallacanestro Trieste in play-off promozione. Solo vittorie, sconfiggendo il fattore campo nei quarti, in semifinale e in finale. Corse ad handicap diventate cavalcate trionfali.

Nell'anno di grazia 2017/18 persino una splendida Alma, giocando da favorita con il fattore campo a favore, una volta dovette ammainare bandiera, nei quarti, contro Montegranaro.

La doppietta a casa dell'Acqua San Bernardo Cantù chiarisce due cose: aver comandato per 77 minuti su 80 non può essere un caso e Trieste sta arrivando in fondo al suo percorso nei play-off con merito. Se nei quarti si poteva spiegare la qualificazione tirando in ballo che «sì, ma Torino è stanca atleticamente e qualitativamente inferiore» e se in semifinale si poteva sottolineare che «sì, ma in fondo Forlì ha dovuto giocare senza Allen» (dimenticando che comunque in gara3 Trieste non ha potuto impiegare Reyes), stavolta le logiche per ridimensionare non reggono più. Cantù non lamenta assenze significative, ha nel roster quel Moraschini che tutti avremmo voluto come rinforzo sul mercato, ha appena eliminato una Cividale in serie vincente e quella Udine presentatasi al via del campionato con ambizioni non inferiori a quelle di Trieste.

Aggiungiamo a tutto questo le seimila anime canturine al PalaFitLine di Desio, una cornice che può competere con il PalaDozza fortitudino. La pressione c'era eccome, quando Trieste ha visto Hickey segnare la tripla del sorpasso e l'impianto brianzolo stava diventando rovente. Ed ecco, in quel momento, il vero segreto di Trieste nei play-off. La capacità di restare fredda, lucida, impassibile. Dove una volta si reagiva con la frenesia senza selezionare i tiri sparacchiati da tre punti, adesso tutto ha invece un senso. Scelte giuste al momento giusto. Una incredibile, incrollabile, fiducia in sè stessi. Simbolo di questa freddezza è Ariel Filloy. Alla fine la sua gara, a lungo poco appariscente, si racchiude in poche immagini ma determinanti: una tripla, un canestro complicato. Quello che serviva per aiutare Trieste a tenere definitivamente a distanza Cantù.

Una fiducia che ha armato anche la mano di Francesco Candussi. In dubbio dopo gara1, costretto a convivere con problemi di falli, si è preso il tiro da tre che ha risolto il match, con la personalità di chi del "Bravi ma..." ne ha abbastanza. Tutti hanno un solo obiettivo in testa. I play-off perfetti. 

- «Come mai ero a Benevento assieme agli altri tifosi alabardati? Perché non potrei mai dimenticare la Triestina, è stato uno dei capitoli più belli della mia vita calcistica».

Tommaso Coletti (intervistato da Antonello Rodio), indimenticato protagonista con la maglia dell'Unione della cavalcata che nel 2019 portò la squadra alabardata a un passo dalla serie B, era al Vigorito nell'ultima partita play-off della Triestina a tifare per Malomo e compagni.

Coletti, cosa è mancato a questa Triestina per arrivare vicina al grande salto?

«Ho visto la partita di andata in tv e il ritorno allo stadio, e la Triestina avrebbe meritato qualcosina in più. Ma non mi sento di giudicare il lavoro altrui da fuori come fanno alcuni allenatori, è una cosa che non sopporto. Posso solo dire che vivo con l'auspicio di vedere la Triestina finalmente salire dove merita per blasone e tifoseria. Io non ci sono riuscito a portarla, ma sarebbe bello rivederla ai fasti di un tempo».

Già, cinque anni fa ci andò molto vicino: cosa resta di quella finale col Pisa?

«Resta ancora tanto amaro in bocca, del resto con il Pisa avevo già perso una finale col Foggia, in pratica è la mia bestia nera. Nel complesso delle due partite meritavamo di più, ma ci sono stati negati episodi chiari che ricordano tutti. Mi piange il cuore pensare che abbiamo perso con una che non era più forte di noi».

E dell'attuale Triestina cosa pensa?

«Mi sento sempre con Malomo, so che c'è una società molta seria e importante, ci sono tutte le condizioni per fare bene. Quest'anno qualcosa non ha funzionato del tutto, un esonero è sempre il segno che qualcosa non è andato bene, soprattutto con un allenatore cosi importante, ma impossibile giudicare da fuori, le dinamiche interne non si conoscono. Se ci sono stati errori, spero che sull'esperienza di quest'anno si possa raddrizzare il tiro».

Qual è la cosa più importante per una stagione da promozione?

«A fare la differenza è la programmazione. Si arriva in fondo con un progetto nel quale tutte le parti collaborano insieme senza crepe e sono sempre sulla stessa linea, dalla società al direttore, dall'allenatore alla squadra. E oggettivamente questa società ha tutte le potenzialità per costruire un bel progetto, è una cosa auguro con tutto il cuore alla Triestina».

Ora ci sarà in panchina Michele Santoni: cosa si aspetta?

«La mia idea è che quando vuoi vincere un campionato, devi prendere un allenatore che prova a vincere tutte le partite, non uno che specula. Mi auguro che Santoni sia questo tipo di tecnico, uno che propone gioco, provi sempre a vincere e aggredisca le partite, non cerchi solo di non subirle».

Cosa spera di vedere? «Una Triestina forte con una bella identità di gioco. E una Triestina vincente, ovviamente».

Come va con la sua attività di allenatore?

«Ho appena preso il patentino Uefa A e ora sono abilitato ad allenare in Lega Pro. Quest'anno ho avuto una situazione discutibile con la Luparense, mentre poi a Foggia era un suicidio annunciato, ma ci ho provato perché sono innamorato dei rossoneri. Ora attendo, vivo con la speranza di crescere sempre di più e, perché no, un giorno tornare a guidare l'Unione».

Ma come mai questo legame con la Triestina?

«Perché per me Trieste è speciale, lì ho vissuto un'esperienza eccezionale ed è uno di quei due o tre posti a cui sono rimasto più legato».

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