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I suntini sandrini di lunedì 26 luglio 2021


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LUNEDÌ 26 LUGLIO 2021

- Irripetibili. È l’aggettivo che Matteo Da Ros - nell'intervista contenuta sul nuovo numero di Citysport.news - ripete continuamente nel parlare dei suoi cinque anni in Pallacanestro Trieste. E il lungo milanese lo sa perfettamente: forse davvero nulla sarà più come prima, perché il carico di emozioni da portarsi dietro nel trasferimento a Cantù – sua prossima tappa – rappresenta un ideale flashback di quanto costruito nella propria avventura biancorossa.

Prima di parlare di ciò che è stato, forse conviene fermarsi in prima battuta su ciò che sarà per te da qui in avanti: la ripartenza da una piazza prestigiosa come quella canturina.

“Per il dopo Trieste, penso di aver scelto il luogo più adatto per me. Certo, dovrò magari staccarmi da una routine che avevo fatto mia in tutti questi anni, ma il progetto di rilancio di Cantù è proiettato su basi solide. Sebbene in Brianza i tifosi sperassero in un ripescaggio in A, la società ha valutato bene nel costruire un percorso diverso per poter tornare rapidamente nella massima serie nazionale”.

La tua avventura a Trieste si è conclusa forse in una maniera che non volevi. Innanzitutto, come hai trascorso questa ultima annata in biancorosso?

“Principalmente con l’incertezza figlia di una stagione in cui abbiamo davvero vissuto alla giornata, senza il calore del pubblico al nostro fianco e con la consapevolezza che è stato un campionato provante non tanto fisicamente, ma più a livello di stress mentale. Un ambito che personalmente non avevo mai sperimentato e dove la fatica di rimanere costantemente concentrati è stata la battaglia più difficile da affrontare”.

Eppure i risultati sul campo sono arrivati, tra la conquista delle Final Eight di Coppa Italia e i playoff scudetto. È corretto dire che forse non ve li siete gustati nel migliore dei modi?

“Credo appunto che a livello mentale sia stato tutto molto complicato da gestire. Quello che abbiamo saputo fare nell’ultimo mese e mezzo di campionato è stato da veri fenomeni, perché in mezzo a prestazioni poco convincenti siamo riusciti poi a vincere partite importanti senza alcuni giocatori-chiave come Fernandez e Grazulis. E riguardando il film completo della stagione, vincere al Forum contro l’Olimpia e fare un filotto di tante partite di fila positive sono variabili che ti fanno capire quanto bravi siamo stati a fronteggiare i momenti difficili”.

Come hai vissuto in queste ultime settimane il distacco da una maglia che hai vestito per cinque anni?

“Sicuramente con grande dispiacere, ma quando subisci le scelte altrui puoi solamente che accettare, seppure con un bel po' di amaro in bocca. Posso comunque dire di non avere rimpianti, se riuscissi a tornare indietro farei tutto in maniera uguale. Ho sentito il calore dei tifosi con i tanti messaggi che mi sono arrivati, alcuni supporters mi hanno espresso il loro affetto anche di persona. E paradossalmente sono più dispiaciuto per l’addio di qualcun altro…”

Ovverosia?

“Dell’ormai ex capitano Andrea Coronica. Se avessi una figlia, vorrei che uscisse con lui: è un ragazzo speciale, mai una parola fuori posto. Ha dato tutto per questa maglia, sempre con la passione e l’amore che lo ha contraddistinto nel calcare il parquet con la casacca biancorossa”.

Matteo, cosa porterai con te dalla tua esperienza triestina?

“I ricordi bellissimi sono tanti: promozione a parte, il primo derby contro Udine in A2, ma anche quando vincemmo ad Avellino dopo un supplementare e Zoran Dragic prese bottiglie di vino per tutti, anche per festeggiare il compleanno di Sergio Dalla Costa. Non ultimo, quanto accadde subito dopo i problemi di Alma: quella vittoria contro una lanciatissima Cremona seconda in classifica mi fa capire ancora oggi di aver vissuto accanto a persone speciali che mai dimenticherò”.

Negli anni che ti attendono, l’avventura in biancorosso sarà davvero irripetibile?

“È un viaggio che iniziai da quarto lungo e che ho concluso quasi sempre in quintetto. Sarà irripetibile forse per gli amici e le persone che ho conosciuto, ma è stato anche un bel viaggio per le emozioni nello spogliatoio e al palazzo dello sport. Anche per quanto vissuto tutti assieme, sarà davvero difficile replicare un’esperienza del genere. E forse è giusto così”.

- Con due sedute al giorno a Ravascletto per trasmettere ai giocatori il suo credo, e poi con due amichevoli super toste affrontate, era quasi inevitabile che Cristian Bucchi (intervistato da "Il Piccolo") alla fine del match con la Lazio fosse senza voce. Ora che ha recuperato, può raccontare con calma il suo pensiero dopo dieci giorni di ritiro e le due sfide alle romane. Bucchi, le sensazioni su questo primo periodo di lavoro? «Il gruppo è molto disponibile, ma del resto il messaggio arrivato alla squadra è forte e chiaro: chi ha voglia di sudare, sacrificarsi e sporcarsi le mani è bene accetto e ce lo teniamo, chi pensa solo al fioretto o crede di valere di più di quello che è oggi la Triestina, giusto che vada via. Io voglio gente umile, affamata, con la bava alla bocca e voglia di rivincita». Come mai con la Lazio è stata più dura rispetto alla Roma? «Queste amichevoli di lusso vanno prese in un certo modo, perché possono fare anche molto male: io sapevo bene che se ne prendevamo 10 o vincevamo 3-0, il risultato era comunque ininfluente, sono test fuorvianti. Ma certo alcuni spunti si possono trarre». E quali sono? «Abbiamo lavorato troppo poco per avere già una idea, al momento possono esserci solamente sensazioni. Al momento mi interessa la mentalità, lo spirito di sacrificio, la compattezza, il fatto che non ci siano primedonne e tutti si mettano al servizio della squadra, a prescindere dal curriculum: sotto questo aspetto ho avuto delle ottime risposte». Ad Auronzo si è pagato anche un po' di stanchezza? «Dopo cinque giorni e mezzo di lavoro al fresco, abbiamo incontrato la Roma facendo parecchie ore di viaggio, in una partita con un dispendio di energie importante. Appena un giorno di recupero ed ecco la Lazio, con altri viaggi lunghi e tortuosi. Visto che è un momento che sul piano fisico si lavora tanto, gli spunti della partita potevano essere relativamente pochi. Ed è ovvio che squadre di grande qualità e più rodate ci mettano in grande difficoltà». La squadra comunque non ha mai mollato. «Ma queste due amichevoli le abbiamo volute apposta proprio per vedere la squadra nelle difficoltà, quando servono spirito e voglia di sacrificarsi. E ripeto, sotto questo aspetto ho tratto sensazioni positive». Nel compenso si è visto di più anche in attacco. «Visto il valore delle avversarie, sono state partite che ci hanno spinto a un atteggiamento piu dedicato a una fase di non possesso, ma anche in attacco con la Lazio si sono viste le prime idee, la ricerca della profondità, del palleggio, dell'uno contro uno senza paura. Quando siamo riusciti a farlo con qualità e velocità, abbiamo messo nelle condizioni di poter calciare Natalucci e Petrella, di far restare Sarno uno contro uno. E anche Di Massimo, al di là della grande giocata individuale del primo gol, nel secondo ha chiuso una bella azione corale. Si sono viste cose interessanti con discreta fluidità, sulle quali ovviamente c'è ancora da lavorare».Il 4-2-3-1 sarà il modulo base della Triestina? «Sì, è il nostro sistema di riferimento, sul quale voglio lavorare per dare un'identità precisa alla squadra. Poi non sono uno fissato sugli schemi, quanto nell'approccio e nell'aggressione alta. Ovvio che durante il campionato per esigenze del momento saremo pronti anche a soluzioni alternative su cui lavoreremo».Come si svolgerà questa seconda parte del ritiro? «Fino a venerdì tutte doppie sedute, il 29 pomeriggio una partitella in famiglia: i ragazzi avranno gambe molto pesanti e teste piene di concetti, meglio un test fra noi per chiudere un periodo importante di lavoro, poi ci saranno due giorni di riposo per tutti»

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