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GIOVEDÌ 30 OTTOBRE 2025 - La sua presenza in campo non è passata inosservata: energia, carisma e, soprattutto, concretezza. Da Juan Toscano-Anderson, nel derby di domenica, una prestazione maiuscola che ha deciso la sfida contro Udine. Come scrive Lorenzo Gatto su "Il Piccolo", con 18 punti a referto, una "doppia-doppia" impreziosita da 10 rimbalzi e ben 4 assist, l'ex Golden State Warriors ha dimostrato di essere il catalizzatore offensivo e difensivo di cui la squadra aveva bisogno. Una prova di leadership e sostanza che esaltato il PalaRubini. Contro Udine, nella partita forse più delicata di questo inizio di stagione, ha giocato la sua miglior gara con la maglia di Trieste. Qual è stata la chiave della sua prestazione top proprio in una partita così importante? «La consapevolezza di quanto questa partita contava per la squadra e per la città. Sono messicano, ho un carattere latino e nei giorni che hanno preceduto il derby ho capito perfettamente cosa significava questa sfida e quanto i tifosi ci tenessero a vincerla. A livello motivazionale è stata una spinta in più. Era importante per me dimostrare quanto mi sono legato a questa squadra e a tutto l'ambiente». Vincere il derby era cruciale dopo un inizio di stagione difficile. Avete preparato la partita in modo diverso dal solito, a livello mentale o tecnico? «Sicuramente è stato diverso il livello di attesa che ci ha accompagnato alla partita. Per chi fa sport, per chi lo vive con passione, partite come queste sono il sale e la molla che ti fa andare in palestra. Palazzetto pieno, tifo, entusiasmo. Credo che assolutamente, sia da un punto di vista mentale che spirituale, l'energia e l'atmosfera fossero semplicemente diverse». Ha giocato con un minutaggio maggiore e un ruolo più centrale. Quanto è stato importante un utilizzo più costante per trovare ritmo e fare la differenza? «Penso che questa sia probabilmente una delle cose più difficili riguardo a me stesso e alla mia carriera: essere versatile è un dono ma a volte può essere una maledizione, perché ti ritrovi a ricoprire ruoli diversi in ogni partita. Volevo solo portare molta energia e sapete, mettere pressione sul canestro indipendentemente dalla posizione in cui mi trovavo e devo dire che i miei compagni di squadra mi hanno aiutato a farlo». C'è stato un avversario di Udine o un aspetto del loro gioco che vi ha messo più in difficoltà e che siete riusciti a limitare nel finale? «Udine si è dimostrata un'ottima squadra, nel suo complesso. Siamo partiti male poi abbiamo provato a dare la spallata al match ma sono sempre rientrati in partita. Hanno mostrato qualità nel corso dei quaranta minuti, per fortuna alla fine siamo riusciti a dimostrare di essere la squadra migliore». Come le è sembrata l'atmosfera del PalaRubini? Quanto ha inciso l'energia del pubblico in una partita così tesa e sentita, per aiutarvi nel finale a vincere? «Ho giocato molte partite importanti in arene diverse ma Trieste è un posto speciale. E' speciale il modo in cui la gente fa il tifo per la sua squadra e questo inevitabilmente arriva anche a chi, come me, è professionista da undici anni. Non so per quanto tempo giocherò ma arrivato a questo punto della mia carriera cerco solo di trovare gioia in tutte le esperienze. Il tifo in Europa è molto diverso rispetto agli Stati Uniti, ed è stata davvero una partita speciale perchè era la prima volta che mio figlio mi vedeva giocare in Italia. E' stato bello, coinvolgente, sono contento di aver condiviso con tutti i tifosi sentimenti ed emozioni che mi porterò dietro nel tempo». Torniamo al suo inserimento in Italia. Quali sono state le sfide maggiori nell'adattarsi al basket italiano ed europeo rispetto all'Nba? «Alcune persone dicono sia un po' più fisico, non sono d'accordo, penso che lo stile sia semplicemente diverso. Sto lavorando per adattarmi al vostro basket e trovare la mia strada. Devi essere più metodico e dare più valore alla palla perchè i possessi sono molto più limitati. Non vedo l'ora di trovare costanza di rendimento e, in futuro, riuscire a giocare meglio dando maggiore apporto alla squadra». A Trieste ha un ruolo diverso rispetto a quello che aveva nella Nba. Quanto è complesso passare dall'essere un role player in un team come Golden State all'essere uno dei leader tecnici in una squadra di Serie A1? «Se vuoi essere un buon giocatore devi essere in grado di adattarti al volo alle situazione e fare quello che serve alla squadra. Nella mia carriera ho avuto un ruolo diverso ogni anno, fa parte dell'essere un professionista. Essere versatile è un dono e allo stesso tempo una maledizione. Mi ritrovo a giocare in una posizione differente ogni anno, ogni partita, ogni quarto. Si tratta solo di rallentare, capire e leggere il gioco perchè, ne sono convinto, sarà il gioco a dirti sempre cosa fare». Quali sono le differenze più significative che ha notato tra il livello di fisicità e atletismo della NBA e la tattica e l'intensità della Serie A1 italiana? «Credo che in Europa si possa usare un po' di più il corpo nei contatti difensivi ed è una cosa che mi piace perchè di fronte alla fisicità non mi tiro indietro. Le regole sono senza dubbio diverse, mi ci è voluto del tempo per rendermene conto e adattarmi ,a, adesso, cerco di sfruttare questa opportunità a mio vantaggio». E' un giocatore con radici messicane, con una carriera che l'ha portata in giro per il mondo. Come si trovi a vivere e giocare a Trieste? C'è qualcosa di particolare della città o della cultura che l'ha colpita? «La cosa che mi ha colpito maggiormente, in positivo, è la semplicità dello stile di vita. Crescendo in America tutto è un po' complesso, la vita è molto più lenta qui. La città è bellissima, I tramonti sono incredibili. il tempo e il cibo sono ottimi. E poi, stando a Trieste, ho avuto modo di raggiungere luoghi e assaporare culture diverse. Quando ho iniziato a giocare il mio obiettivo era arrivare a visitare 30 paesi prima dei 30 anni. Adesso è diventato 40 paesi prima dei 40 anni. In questo momento sono a 23 ma voglio utilizzare il mio tempo cercando di esplorare molto di più e viaggiare molto di più mentre sono in Europa». Dopo questa grande prestazione nel derby, che messaggio si senti di dare ai tifosi di Trieste? «Voglio ringraziarli per il loro supporto ma allo stesso tempo dire che non abbiamo ancora fatto nulla. Sono qui per provare a vincere, Trieste non ha mai vinto un campionato in serie A e mi piacerebbe far parte della squadra che lo ha fatto per la prima volta. Voglio provarci per tramandare qualcosa a mio figlio, mi piacerebbe pensare che, tornando qui tra 25 anni, le persone gli diranno che suo padre ha fatto cose incredibili nella loro città». - La brusca frenata della Triestina, accentuata dalla sconfitta contro la Dolomiti Bellunesi, è iniziata ben prima dell'arrivo di Tesser sulla panchina alabardata. Come scrive Antonello Rodio, nonostante le buone prestazioni, anche l'Unione di Marino aveva raccolto davvero poco nell'ultimo periodo e i numeri sono lì a dimostrarlo. Se fino alla settima giornata, dunque vittoria sul Renate compresa, la squadra alabardata aveva fatto 11 punti e viaggiato a 1,57 punti di media partita, nelle ultime quattro gare ha raggranellato appena 2 punti facendo segnare in questo poker di partite un misero 0,5 di media che ha fatto scendere quella complessiva a 1,18 a match. Tutte le squadre possono avere un periodo di appannamento e di fisiologico calo, il problema è che la Triestina non se lo può permettere partendo da quel micidiale -23 di penalizzazione. Come si spiega questa improvviso rallentamento? Al di là degli episodi sfortunati, di qualche prova meno convincente e delle evidenti lacune della rosa, il dato di fatto principale è uno solo: senza attaccanti incisivi non si segna, e nel calcio se non si fa gol non si vince e non si fanno punti, nemmeno se si staziona per gran parte della partita nella metà campo avversaria. Infatti in queste quattro famigerate gare (contro Novara, Cittadella, Pergolettese e Dolomiti) la Triestina non ha mai segnato su azione. L'unica rete messa a segno, quella che ha permesso di pareggiare con la Pergolettese, è la punizione vincente di Ionita. Per il resto zero gol. Non è un caso che questo periodo di digiuno sia coinciso con l'assenza di Vertainen, di sicuro l'attaccante che si è rivelato il più efficace in zona gol (pur non essendo un bomber) dello striminzito attacco alabardato. Un reparto nel quale Faggioli si dimostra generoso e si dà un gran da fare ma è ancora alla ricerca del feeling con la rete che sembra aver smarrito da un paio di anni, mentre Kljajic è ancora acerbo e poco incisivo (anche se lui una rete almeno l'ha segnata). Quando il finlandese si è infortunato per un guaio muscolare, la squadra ha avuto una reazione d'urto, quasi uno shock positivo segnando addirittura tre reti nel secondo tempo contro il Renate. Ma poi le magagne e le incertezze di un reparto risicato e con grosse lacune sono inevitabilmente e impietosamente venute a galla, provocando una sterilità che va al di là dei moduli utilizzati e dei tecnici in panchina. E la cosa ancora più preoccupante è che Vertainen, dopo l'evidentemente frettoloso rientro per pochi minuti nella partita con la Pergolettese, ha avuto una ricaduta che lo terrà fuori a lungo. Pertanto, a meno di pescare qualche svincolato che sarebbe però a corto di condizione, sarà necessario aspettare il mercato di gennaio per cercare robusti rinforzi per il settore offensivo. Ma il pericolo è che sia troppo tardi, perché per intervenire sul mercato serve che in quel periodo la squadra abbia ancora qualche possibilità di farcela a centrare l'obiettivo play-out, altrimenti è comprensibile che non si vadano a investire risorse per un traguardo ritenuto impossibile. Ma è presto per fasciarsi la testa e tempo per tornare sulla rotta giusta ancora ce n'è.
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Questa la discussione per la partita di sabato a Villorba
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Chilcutt? Uno 0/12 se non ricordo male, ma non metterei la mano sul fuoco
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Non posso non sorridere ritrovando un paio di nomi e statistiche (Ivo e Conrad) presenti nella lista con record realizzati nella stessa partita, ovvero l’ultima di regular season del 2000 contro la Benetton (di Messina credo), ovvero una squadra pazzesca a cui demmo una lezione di basket in uno dei match più belli che possa ricordare di aver visto (live ancora a quel tempo). Passatempo divertente, che scorer pazzesco è stato Steve Burtt, incredibile (non è spoiler dai da tanto è ovvio).
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Da MangiafuocoMcrae · Inviato
Si certo,ma è chiaro che contro Udine tutti metteranno su di lui il loro miglior difensore. Hickey non è un giocatore che ha buone %,e spesso è discontinuo nell' arco della stessa partita. Ha bisogno di tirare tanto per incidere.
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