SandroWeb Posted June 2, 2021 Report Share Posted June 2, 2021 MERCOLEDÌ 2 GIUGNO 2021 La fine del ciclo triestino Eugenio Dalmasson la sta vivendo nel buen retiro di Mestre. A Trieste ci tornerà, presto. «Ho un trasloco da completare e la prossima settimana mi riceverà il sindaco Dipiazza. Era stato il mio primo presidente, alla Pallacanestro Trieste. Corsi e ricorsi». Come scrive Roberto Degrassi, si parla di Cicli. Come quello che si è concluso l'altro pomeriggio, con l'annuncio da parte dell'Allianz Pallacanestro Trieste di uscita dal contratto con l'allenatore.Che ha qualcosa da dire. «È naturale che nello sport i cicli si esauriscano. Normale, prima o poi capita a tutti e anche io l'avevo messo in conto. Distinguo però la valutazione professionale da quella dei rapporti umani. Il modo in cui si è arrivati a questa conclusione mi lascia una grande amarezza. A poche giornate dalla fine della stagione mi è stato fatto capire che non venivo più visto come una risorsa di questa società. Il "Grazie Eugenio" per questi anni però lo sto ricevendo dalla gente. Una targa dai tifosi, i saluti per strada».Provi a sintetizzare i suoi 11 anni triestini in una sola immagine o una sola emozione.Difficile. Scelgo l'istantanea dell'inizio di questa avventura. Per la prima volta entro al Palasport di Valmaura da allenatore della Pallacanestro Trieste e mi chiedo: riuscirò un giorno a vederlo pieno? Tutti mi raccontano di un vecchio derby con Udine con il pienone e io sogno di vivere un'emozione così. Faccio un passo avanti nel tempo. Alla fine della gara4 della finale play-off contro Chieti per la promozione in A2, al rientro in pullman durante una sosta a un autogrill avvicino il presidente Rovelli e gli dico: "Quanto sarebbe bello se per la gara5 ci fosse il libero ingresso al Palasport, provi a immaginare il calore del pienone". Lui si prende una giornata per pensarci e alla fine accetta di aprire le porte. Pienone. Promozione. C'è chi per la prima volta entra a vedere una partita di basket. La nostra semina era cominciata.La vittoria più bella?Quelle che hanno portato alla promozione sono ricordi indelebili ma sono stati tanti i momenti importanti. La soddisfazione maggiore è stata vedere la gente in fila per i biglietti, l'energia positiva tra la squadra e il pubblico, la sensazione di essere invincibili sul nostro campo.La sua storia triestina inizia nel 2010, con Matteo Boniciolli che ancora oggi rivendica la paternità della scelta.Io e Matteo andiamo a bere un caffè al Bar Vittoria vicino alla palestra di via Locchi e ci troviamo subito d'accordo. Gli dico che per me allenare Trieste è un onore. E lo ripeto ancora adesso che il ciclo è finito. Allenare a Trieste è un onore.In 11 anni si è visto Dalmasson ferocemente arrabbiato una sola volta. A Brescia l'anno scorso, per un'infrazione che era costata un fischio determinante nella sconfitta biancorossa.Vero. La mia reazione è stata diversa dal solito, quanto ci ho ripensato su quel mio mezzo piede oltre la linea...A proposito di Brescia come avversaria. A quei duelli è legata una delle foto storiche della sua avventura. Il lungo abbraccio a Marco Carra alla sua ultima partita.Un grande uomo, un ragazzo di notevole intelligenza e un campione sul campo. In quell'abbraccio c'era il mio grazie sincero a quanto aveva dato a me e a Trieste.C'è un altro abbraccio da ricordare ma l'immagine è più recente. Anzi. L'ultima immagine di Dalmasson allenatore biancorosso. L'abbraccio con Daniele Cavaliero.Abbiamo condiviso sensazioni simili nell'ultimo periodo. Ci eravamo confidati, siamo stati vicini. Io gli avevo anticipato che a giugno si sarebbe conclusa la sua mia storia a Trieste, lui mi ha raccontato i pensieri di chi dopo 20 anni di basket sta riflettendo su cosa fare da grande. Con il suo spirito di sacrificio Daniele è stato un esempio per tutti. A 37 anni l'ho sentito chiedere al preparatore atletico di restare sul parquet per fare sessioni di tiro. Gli avevo suggerito di tornare a Trieste quando era capitano a Varese, la storia insegna che è stata la scelta giusta.Cavaliero è un grande sul campo ma è stato anche un punto di riferimento e un motivatore nello spogliatoio nei momenti di difficoltà.Per me lo spogliatoio è un luogo sacro. Il mondo dei giocatori dove io non ho mai voluto entrare e dove è giusto che si confrontino e se vogliono parlano liberamente male dell'allenatore. Ho rispetto dei ruoli.Un altro cardine dell'ambiente biancorosso è capitan Coronica. Dà l'identità al gruppo.Il basket non è solo statistica o talento. Contano le qualità, i valori etici hanno un significato. Quanti capitani come Coronica ci sono in A, che sanno che giocheranno poco o forse nulla la domenica o non giocheranno affatto eppure sono leader con il loro comportamento? Nessuno. Le squadre vere si costruiscono con gli uomini veri.Ci sono giocatori che l'hanno delusa?Sul piano umano pochissimi, sono state di gran lunga superiori le soddisfazioni. In qualche caso mi sono rimproverato di non aver trasmesso quella professionalità che sarebbe servita per un salto di qualità.Tra i giocatori che hanno debuttato a Trieste sotto la sua guida c'è anche il Mvp dell'ultimo campionato. Stefano Tonut.Aveva iniziato a trovare spazio nella stagione in cui problemi economici ci avevano costretto a rinunciare a Jobey Thomas e Brandon Brown. Saremmo stati da play-off quell'anno, a ranghi completi ma...Il campionato della consacrazione per Tonut è stato il successivo. Tutti mi rimproverano di aver scelto Grayson ma era un play funzionale a quella squadra, ha permesso a Stefano di sbagliare e crescere. Avessi scelto un esterno da 25 punti a partita quanti tiri si sarebbe preso Tonut? Invece esplose. Con la stessa logica prendemmo Holloway per valorizzare le caratteristiche di Candussi.Cosa sente di aver dato a Trieste?Il mio impegno e la mia dedizione. Credo di aver contribuito a dare alla squadra un'immagine di lealtà e di eleganza anche nella sconfitta.Cosa le ha dato Trieste?La passione della gente. Il grazie dei tifosi che sono venuti a incoraggiarci prima dell'ultima gara, le persone che magari non vanno al Palasport ma mi fermano per strada. Un affetto sincero.Chiuso il ciclo Dalmasson si apre quello di Franco Ciani. Vi lega un rapporto di amicizia decennale.Non abbiamo condiviso solo l'ultima stagione. Prima c'erano state Udine, Firenze, Vicenza, l'Under 20. Tra noi amicizia e sintonia professionale.Con l'arrivo di Ciani nello staff tecnico biancorosso si è vista anche la difesa a zona.Vi sorprenderò. La paternità non è nè di Dalmasson nè di Ciani...Il merito è di Marco Legovich che si occupava della parte difensiva, con Franco competente per i giochi di attacco e io a coordinare. L'essenza di uno staff tecnico è questa, giocare anche noi di squadra.Cosa farà adesso?Sono sereno, deciderò con calma se continuare ad allenare o fare altro. Considero inarrivabile l'esperienza triestina con il sesto posto nell'ultima stagione ma ho ancora stimoli e la passione non muore Quote Link to comment Share on other sites More sharing options...
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