SandroWeb Posted June 25, 2024 Report Posted June 25, 2024 MARTEDÌ 25 GIUGNO 2024 - Smaltita la tensione di un finale di stagione molto intenso, Jamion Christian (intervistato da Lorenzo Gatto su "Il Piccolo") riavvolge il filo di una stagione vissuta tra grandi difficoltà e momenti esaltanti. Il suo primo campionato lontano dagli States è stato un concentrato di emozioni: il coach della Pallacanestro Trieste le racconta così. Quale aggettivo userebbe per descrivere la stagione? «Ha vinto la squadra migliore. Essere i migliori è definito dalla capacità di resistere al più forte dei venti. Persistente: la capacità di credere nel miglioramento quando non si ottengono i risultati desiderati. Grandezza competitiva: la capacità di dare il meglio di sé quando è richiesto il meglio». Lei e Mike Arcieri siete sempre stati convinti della forza della squadra, c'è stato un momento di dubbio? «Non posso parlare per Arcieri, posso però dire di non aver mai avuto la sensazione che mancasse di fiducia in noi o nella mia leadership. Entrambi abbiamo creduto in questa squadra, avevamo solo bisogno che i ragazzi si unissero al momento giusto. Il mio punto di vista partiva sempre dagli uomini nello spogliatoio e ho sempre avuto grande fiducia in loro. Le nostre risposte ai momenti difficili sono state eccezionali. Il modo in cui questi ragazzi hanno saputo interagire tra è stato fantastico. La squadra che impara di più dall'inizio alla fine ha la possibilità di vincere e ho sempre avuto la sensazione che stessimo imparando a un ritmo incredibile». Alla fine cosa ha fatto la differenza? «Talento e condivisione di un gruppo di ragazzi che ha sempre saputo ragionare come una persona sola. Un talento non solo individuale ma anche e soprattutto finalizzato al bene della squadra e in cui tutti abbiamo avuto la capacità di fidarci. Il nostro talento era sempre nella squadra. La fiducia che, qualunque cosa potesse accadere, avremmo avuto la capacità di affrontarla». È stato difficile adattarsi a un paese nuovo e a un modo diverso di vivere lo sport? «Ho dovuto imparare molto, ma ho avuto anche un grande staff e giocatori che mi hanno aiutato a imparare. Poiché abbiamo una cultura dell'apprendimento, questo ha permesso loro di aiutare me e a me di aiutare loro. Non c'è ego nell'apprendimento e non ci dovrebbe essere ego nella condivisione o nell'insegnamento. Il nostro team ha incarnato questa componente ai massimi livelli». E' stato un anno difficile anche dal punto di vista personale, nel mirino quando i risultati non arrivavano. Come ha affrontato i giorni più impegnativi? «Le critiche fanno parte di questo lavoro, ma devo dire che i miei momenti più difficili sono stati quando hanno fischiato ingiustamente i nostri giocatori. Molti dei quali avevano scelto Trieste per lottare per la promozione e per la città. Quindi, più che per me, ero più arrabbiato per loro. La mia vita da coach è incentrata su di loro. Il mio compito è quello di togliergli la pressione. Ho cercato di fare del mio meglio, non sono sicuro di esserne sempre stato capace, ma è qualcosa su cui voglio continuare a migliorare». Si parla di un gruppo che vive in modo diretto con il coinvolgimento delle parti. Può spiegarci la collaborazione con i membri più esperti del team? Abbiamo visto spesso giocatori interagire con lei durante le partite. «Ho sempre pensato che la collaborazione delle idee ci avrebbe dato un grande vantaggio. Non la pallacanestro italiana, non la pallacanestro americana, ma la pallacanestro triestina che unisce il meglio delle due parole. Ragazzi come Ariel Filloy e Michele Ruzzier hanno giocato contro alcuni dei migliori allenatori del mondo, sarei stato uno stupido se non mi fossi confrontato chiedendo loro cosa stavano vedendo sul parquet. Non si trattava di me, si trattava di fare le cose per bene. La capacità di ascoltarsi l'un l'altro e la fiducia reciproca è stata una cosa davvero positiva. Se hai un team di persone e non importa a chi va il merito, quanto puoi essere bravo? Quando ogni membro può fidarsi che le parole della persona accanto a lui sono per il meglio per lui? Questo è ciò che siamo stati in grado di creare». Lei si è formato nelle università, ha già una lista di profili che potrebbero essere interessanti? «Beh, sicuramente avremo un background migliore sui giocatori statunitensi, ma dovremo comunque attirarli e chiudere l'affare. Ci sono più giocatori di basket nel mondo ora che mai. La cosa più importante è trovare persone che credano in ciò che facciamo». Da dove vorresti partire il prossimo anno? «Parto sempre dallo stesso punto, ho molto da imparare. Voglio solo rimanere aperto alle idee, questo mi permetterà di essere al mio meglio come leader, allenatore, padre, marito e amico degli altri». - Bagno di affetto fra i tifosi alabardati oggi per il presidente della Triestina. Lo scrive Antonello Rodio: come già annunciato, Ben Rosenzweig è arrivato in Italia per alcuni impegni di lavoro, ma ne ha subito approfittato per sbarcare a Trieste e mettere in calendario due incontri con i due nuclei principali del tifo triestino. E così oggi pomeriggio Rosenzweig farà prima visita al Centro coordinamento dei Triestina Club, poi al Triestina Fan Club Bar Capriccio. Intanto proprio ieri, ad anticipare la sua visita, in un'intervista al Corriere della sera il presidente alabardato è tornato a parlare del suo amore per la città, del suo progetto e degli investimenti in questo business il cui traguardo è riportare la Triestina nella massima serie, da dove manca da ben 65 anni. «Trieste è una città bellissima al crocevia di molte culture, con una storia affascinante - ha detto infatti Rosenzweig nell'intervista - è anche una città molto viva, con alle spalle i bacini dell'Austria, della Croazia, della Slovenia: senza alcun dubbio una città da serie A. Per l'economia, il turismo e anche il calcio: riporteremo la Triestina in A». Oltre a ribadire come investire nel calcio in realtà varca ormai i confini dello sport, il presidente sottolinea come con Trieste è stato amore a prima vista: «C'era una società sull'orlo del fallimento, mi sono chiesto perché una città così importante e con uno stadio come il Rocco dovesse rassegnarsi a restare nelle retrovie del calcio. Poi mi sono innamorato di una città che secondo me ha grandi potenzialità economiche e turistiche, anche per il sovraffollamento che affligge la vicina Venezia. Mi sono chiesto dove vorrei passare il mio tempo se avessi successo con i miei vari investimenti. E ho deciso di puntare su Trieste». E dopo aver sottolineato il gravoso impegno che è stato necessario per ripianare i debiti del passato, Rosenzweig ha elencato gli obiettivi per il futuro: «Siamo ambiziosi, vogliamo stringere il rapporto con la città e coi tifosi, commoventi nel loro sostegno anche in anni deprimenti, rafforzando la squadra e anche offrendo nuovi servizi come il centro sportivo a Muggia che sarà aperto anche al pubblico. Mentre lo stadio, se avremo la concessione diventerà anche luogo per concerti, fiere ed altri eventi: un peccato usare una struttura di così grande valore solo 19 volte l'anno». Intanto sul mercato è sempre il nome di Facundo Lescano a tener banco. Tramontata l'ipotesi Vicenza, ora sul bomber alabardato è forte l'interesse del Foggia, che vorrebbe ripartire proprio dall'argentino per tentare un campionato di vertice. Quote
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