SandroWeb Posted May 1, 2023 Report Share Posted May 1, 2023 LUNEDI 1° MAGGIO 2023 - «La vittoria di questa sera è una grande iniezione di fiducia in vista dell'ultimo impegno di campionato. Vedere il traguardo così vicino a una settimana dalla fine della stagione è benzina nel nostro motore: sappiamo che per salvarci dovremo vincere a Brindisi, da domani saremo in palestra per cominciare a preparare quella partita. Ma almeno per qualche ora, lasciateci festeggiare un risultato importante che ci tiene in corsa per raggiungere l'obiettivo. Da domani penseremo al match di domenica prossima». Come scrive oggi Lorenzo Gatto su "Il Piccolo", Marco Legovich analizza con lucidità la situazione dopo il successo contro la Tezenis che condanna Verona alla Legadue e lascia aperta la porta della speranza per Trieste. «Una vittoria del gruppo, che sul campo ha dato tutto quello che aveva dentro- sottolinea il coach triestino- della città che si è stretta attorno a noi e della proprietà che in quest'ultimo periodo non ci ha mai fatto mancare nulla. Credo che la loro presenza qui questa sera (ieri ndr) sia stata importante proprio per darci la carica necessaria ad affrontare una partita decisiva. Nonostante la tensione abbiamo avuto un ottimo approccio: difesa attenta e attacco che ha limitato le palle perse trovando con buona continuità la via del canestro. Nel secondo tempo la reazione di Verona era prevedibile, siamo stati bravi a stringere i denti nel momento più difficile, riprendere fiducia e consapevolezza e gestire quei momenti vincendola di fatto due volte». Decisiva nel successo biancorosso la prestazione mostruosa di Stefano Bossi, 16 punti con un fantastico 4/5 da tre punti e i canestri che nel momento della rimonta veronese ha scavato il nuovo break che ha sancito la vittoria. Un Bossi che si è finalmente tolto il sassolino rimasto nella scarpa dai tempi dei play-off della stagione 2016/2017 quando, l'ultima partita nella finale promozione contro la Virtus Bologna, lo aveva visto tristemente spettatore in panchina. «Me n'ero andato da Trieste con il dispiacere di non aver giocato quella partita- ricorda Stefano- aspettavo una serata così per riscattarmi. Sono felice della prestazione, credo che il fatto di aver sempre lavorato con serietà per farmi trovare pronto sia stato il segreto di una partita come quella di questa sera».Il rovescio della medaglia nelle parole di Alessandro Romagli, coach della Tezenis. «Non è semplice trovare le parole in un dopo partita come questo- racconta il tecnico scaligero- l'esito del campo è dolorosissimo. A livello personale è una sconfitta difficile da digerire: salire in serie A dopo 20 anni e perdere la categoria dopo una sola stagione è veramente dura. Possiamo solo chiedere scusa ai nostri tifosi per non essere stati in grado di difendere questo patrimonio» - «Ragazzi, l'allenamento non è mica finito». Come non è finita la corsa che porta alla salvezza che pure poteva essere già finita. Lo scrive oggi Ciro Esposito sul quotidiano locale: Augusto Gentilini lo sa bene e tiene alta la concentrazione dei suoi ragazzi. Dirige e osserva i suoi uomini sul prato del Grezar. Non è più l'erba sulla quale Gentilini ha più volte giocato. «Mi ricordo in particolare la partita nella stagione '84-85 perché io ero rimasto al Varese mentre alcuni miei compagni Salvadè, Scaglia e Strappa erano venuti alla Triestina. Averli di fronte da avversari è un ricordo indelebile». Giocavano in serie B quei giovanotti. Di quello stadio è rimasta solo la location e le emozioni vissute dai più attempati su quei gradoni in cemento. Il mondo cambia e la vita va avanti. Trieste mica tanto. L'attaccamento alla Triestina, nel bene e nel male, resta intatto. E sul quel prato non più tardi di un anno e mezzo or sono c'era Billy Marcuzzi a dare gli ultimi consigli della sua vita ad altri alabardati che pensavano allora di potersi giocare una promozione. Il Grezar, Marcuzzi, Gentilini e Trieste. «Proprio l'amico Billy mi aveva parlato tanto di questa città e dei triestini. E in questi otto mesi l'ho toccata con mano. E' una città splendida, ordinata ma quanto ad attaccamento alla squadra di calcio somiglia tanto al Sud. La città si identifica con la squadra. I tifosi vogliono vedere i giocatori dare tutto in campo. I risultati sono importanti ma la prestazione conta di più. I ragazzi sono stati applauditi anche dopo qualche risultato deludente. Il loro apporto sarà decisivo. Perché l'energia dei tifosi conta tanto specie in queste partite spareggio. Lo dico perché l'ho provato da giocatore".In questi tre mesi la sua tranquillità e la serenità che ha portato nel gruppo sembra siano stati una delle chiavi della crescita del gruppo. Ma lei è sempre stato così tranquillo?«Assolutamente no, anzi da calciatore ero un terzino focoso. Poi con l'esperienza sportiva ma anche quella della vita quotidiana mi hanno portato a essere più tranquillo».Cosa le è rimasto della sua recente esperienza in Cina?«Mi sono occupato di un'Academy di giovani calciatori. Ho vissuto quell'esperienza nei mesi del Covid. Sono riuscito nell'ultimo giorno utile a tornare in Italia dalla mia famiglia e sono tornato, con un permesso speciale, appena nel settembre del '20. Penso di aver appreso molto quanto alla gestione di certe situazione e delle dinamiche di gruppo».Ma è rimasto sereno e lucido anche sabato scorso dopo il gol di Sottani?«Sì ma sa perché? È l'atteggiamento in campo dei ragazzi durante la settimana e nei match a darmi serenità. Ho fiducia in loro e vedo che loro sanno tradurre in campo quello che facciamo durante il lavoro quotidiano».Però l'allenatore ha maggiori responsabilità.«Sono il loro allenatore e non faccio il dittatore. Mi piace condividere con i ragazzi le scelte, gli schemi, il lavoro atletico secondo me è l'unica strada per instaurare un rapporto prima umano e al contempo professionale. Come allenatore ho le mie idee ma mi confronto sempre con loro. Ma prima ne discutiamo perché alla fine sono loro ad andare in campo. Non voglio soldatini ma uomini che siano convinti di quello che fanno»Questo è il metodo per costruire in fretta un gruppo?«Questo è il mio modo di lavorare. Questi ragazzi hanno sempre risposto e siamo riusciti in fretta a creare un buon mix fra chi c'era già e chi è arrivato a gennaio».Cosa ha detto alla squadra il 31 gennaio?«Che da quel momento dovevamo affrontare un minitorneo da 14 gare per ottenere qualcosa che in quella trasferta di Verona era lontanissimo»Quando ha capito che potevate farcela ad arrivare almeno agli spareggi?«La consapevolezza è arrivata nella trasferta di Padova. Ottima prestazione nonostante il pareggio e ho visto che la fiducia e la consapevolezza nei loro mezzi si leggeva negli occhi dei giocatori».Il momento più difficile?«Forse la settimana successiva alla sconfitta di Mantova. Nonostante il buon secondo tempo quella sconfitta pesava. Ma è arrivata subito la vittoria con il Pro Patria a scacciare i fantasmi»E adesso?«Ora dobbiamo avere la forza di giocare due sfide senza pensare a quello che siamo riusciti a fare finora ma con lo stesso spirito con il quale siamo arrivati fino a qua. Lo spareggio si gioca su 200' e noi fino al 199' dobbiamo pensare a fare la nostra partita».La bomba piovuta giovedì sera (l'inchiesta per presunto illecito sportivo sulla partita con la Pergolettese) ha turbato il suo gruppo?«Lo escludo, abbiamo continuato e continueremo a lavorare con la stessa intensità per il nostro obiettivo. Delle faccende extra campo se ne occupa la società».Ha pensato di cambiare qualcosa nell'assetto o nei protagonisti?«La squadra ha funzionato con i suoi limiti direi negli ultimi 10 metri. Si può sempre modificare qualcosa».Però la prima al Rocco avrà un peso?«Io penso che dovremo sfruttare al massimo la spinta del pubblico di cui abbiamo bisogno ma sapendo anche che poi resta ancora aperta metà della sfida una settimana dopo».Lei dice sempre che la Triestina gioca per la città.«È così perché l'Unione è un patrimonio di questa comunità. Io e i giocatori ne siamo consapevoli».E siete anche consapevoli che una parte della città ha adottato questa squadra.«C'è grande aggregazione nel gruppo. E per gruppo intendo i giocatori, lo staff, i magazzinieri, i medici e chi lavora attorno alla squadra. Abbiamo fatto mezzo miracolo, dobbiamo e vogliamo raggiungere l'obiettivo. Penso che i tifosi lo abbiano compreso».Già, il mezzo miracolo. Per completare l'impresa servono ancora fatica, sofferenza e lucidità sul campo. Anzi su due campi. E chissà che per portare a termine il miracolo, Billy e Mario gli angeli alabardati, non possano dare una mano. 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